Birgit
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Birgit

L’altro giorno, Birgit mi ha raccontato una storia pazzesca. 

Birgit è un’adorata amica tedesca, che ho conosciuto ai tempi di Beirut. Birgit è una scrittrice e una giornalista e per me una fonte di ispirazione; essendo un’originale, da qualche anno vive nelle campagne di Tolosa in compagnia del gatto Mish Mish e dei pomodori dell’orto.  

La prima volta che ho cercato su Google map Belloc,  il suo villaggio ai piedi dei Pirenei, lo schermo mi ha rimandato tre case di pietra, un ruscello e due vacche e ho pensato ecco Birgit è andata fuori di testa. 

Mi sbagliavo, naturalmente; Birgit stava ancora una volta cercando se stessa, seguendo l’antica curandera sapiente, la madre istintiva, che si porta dentro.  

Ci sono persone, fortunate, molto amate da piccole, che crescono e prosperano, più o meno pacatamente, nella loro terra. 

E ci sono persone con infanzie infelici, che non si accettano, che vagano cercando di essere diverse. 

Le prime sognano nuotate tonificanti in acque cristalline, in compagnia dei pesci, e si svegliano soffuse di naturale gaiezza.  

Le seconde sognano guerre o bambole spezzate di terra cotta nel bosco, e trascorrono il resto della giornata nel tentativo, spesso infruttuoso, di emanciparsi dalle imboscate dell’inconscio.  

Ecco, io penso che la più grande differenza tra gli esseri umani, la più grande ingiustizia, sia proprio questa: che ci sia gente che sogna i pesci e gente che sogna l’Apocalisse. 

Appartenendo io alla seconda schiera, non potevo che fare amicizia con una donna come Birgit.       

Siamo in qualche modo sorelle. 

Le sorelle e i fratelli – per noi sognatrici fosche – sono le persone che nel tempo abbiamo accolto nel nostro giardino, e che nutriamo e che ci nutrono a loro volta. 

Alimentano la nostra fame di confronto e di crescita, con consigli, idee, letture e racconti dell’ultima scoperta o dell’occasionale angoscia. 

L’altro giorno ho detto a Birgit che sto pensando di cambiare vita, desidero un passo lento, meditare nella foresta, osservare da lontano la corrente, essere diversamente me stessa. 

Lei mi ha guardata, come fa sempre, con gli occhi verdi da strega e mi ha detto: “Fallo, sorella. Vedrai che l’universo ti assiste”. 

Tradotto in un linguaggio meno esoterico mi stava spronando al rischio: arriva sempre un momento, alla fine di un ciclo, in cui devi scegliere cosa di te muore e cosa di te resta. 

Poi mi ha raccontato la storia delle pecore e dell’orso. 

“C’è stato un massacro”, ha detto. 

Un massacro?

“Si, di duecento pecore”. 

E’ accaduto, su un alpeggio, che un orso ha attaccato una pecora – dico una – e che le altre, terrorizzate, si siano date alla fuga e correndo, cieche, si siano lanciate da una parete di roccia. 

“E’ una storia incredibile”, ho detto. 

La sua risposta, me la porto dentro. 

“Non avere mai paura, sorella”, ha detto. 

“E’ la paura che uccide, sempre”.