Imma Vitelli
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Imma Vitelli

Voi ora vorreste sapere chi sono io, ma cosa vi posso dire?

Forse che a lungo ho dato la caccia al vento e che ho conosciuto le gioie più calde là dove nulla pareva prometterle.

Forse che di ogni paese in cui ho viaggiato,  e sono più di cento, mi sono portata dietro un pezzo di cielo, ed è la mia ricchezza, ed è la mia salvezza.

Forse che mi sono curata vivendo e tutto ciò che ho capito, tutto ciò che ho perduto, l’ho recuperato soltanto scrivendo.

Forse che ciò che voglio davvero non è distrarmi ma affrontare verità profonde, attribuendogli una storia e un senso,  reclamandone l’unicità e forse la poesia.

Questa della poesia, però, non è roba mia.  E’ roba di Ndaru, un mistico di Giava.

Qualche anno fa, il vento mi ha portata nel lontano Oriente, in un posto di nome Solo.

Era una notte di plenilunio e Ndaru, immerso dalla vita in giù in una pozza d’acqua fredda, immobile, meditava. Ho chiuso gli occhi e a un tratto ho sentito la sua voce dire:

“Consenti a ciò che deve morire di morire, e a ciò che deve vivere di vivere”.

Ndaru, maestro immortale, mi ha indicato la via.

Il mio nome è Imma Vitelli e per vent’anni ho raccontato il mondo. Ho studiato Giornalismo alla Columbia University di New York; ho vissuto dieci anni in Medio Oriente, al Cairo, a Beirut e a Istanbul.

Ho scritto il saggio Tahrir (Il Saggiatore, 2012), il romanzo La Guerra di Nina (Longanesi, 2021), racconti, rubriche, soggetti e sceneggiature per il cinema.

Ho collaborato a diverse testate (Associated Press, Business Week, Il Mondo, Sette del Corriere della Sera, La7, D di Repubblica, Marie Claire) e per undici anni sono stata inviata di guerra per Vanity Fair (dall’Afghanistan al Pakistan, dal Congo alla Somalia, dalla Libia alla Siria: non mi sono fatta mancare niente). Poi sono andata in Nord Corea e dopo quell’esperienza – memore del suggerimento di Ndaru – ho smesso di correre.

Ora scrivo libri e cerco di trasmettere quel che ho imparato. Adoro insegnare, è come innaffiare un giardino, dare le vitamine alle rose, far crescere il processo creativo.  L’ho fatto finora alla John Cabot University di Roma (Giornalismo) e alla New York University di Firenze (Feature Writing).

La Cura delle Parole è nata durante la pandemia. Scrivere, in fondo, è mettersi in ascolto di se stessi. Personalmente, posso aggiungere che quando non scrivo mi sento persa.