Fayoum
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Fayoum


Ogni tanto, quando mi sento sballottata me ne vado nel deserto, a fare ordine.
Mi capita di bruciare i giorni ed è per ritrovare l’armonia che mi ritiro, in Egitto, tra i palmizi di Fayoum.
L’antica casa che mi ospita ha un’ampia stanza con un’ariosa cupola e un silenzio monastico, che m’incanta. Di molesto c’è talvolta il raglio di un asino di cui mi libero impastando ceramiche.
Ho la testa vuota, così vuota che, se non fosse caduto, non avrei notato l’angelo.
Eppure avrei dovuto saperlo: i musulmani credono molto più di noi alle creature celesti.
Pensano che siano fatti di luce (e gli uomini di fango e gli spiriti di fuoco) e che ognuno ne abbia due, uno per il giorno, l’altro per la notte. Questi cherubini sono in qualche modo testimoni delle nostre vite; prendono nota del bene e del male, in preparazione del Giorno del Giudizio.
Il mio interesse, il mio obiettivo, sul lago Qarun, era un placido resoconto dell’ultimo anno. La vita affaccendata è brevissima, per questo anelo a un tempo più lungo, a un passo più lento. Se invece di vivere corri, non vedi niente.
Per questo in principio non ho visto i sei quadretti.
Li ho visti con la coda dell’occhio, ma non li ho visti veramente. Ora so che in quattro di essi, sono riprodotte anfore di terra cotta da cui si ergono timidi steli verdi. So che nel quinto un edificio pastello è ravvivato in un angolo da una piccola selva.
Ma tutto questo, non l’avrei mai saputo se all’improvviso non fosse caduto il sesto.
Avrei ignorato le immagini custodite nelle cornici a giorno se una di loro non si fosse schiantata al suolo come un jet abbattuto da un missile.
Se ne stava lì chissà da quanto tempo, a fare il suo mestiere di quadretto appeso di fianco alla porta quando, senza un motivo, crollava a terra.
L’ho guardato, ho guardato i suoi frantumi, senza muovermi dal letto. Ho posato lo sguardo sul gancio ormai orfano del suo peso e ho preso atto della presenza dei superstiti.
Soltanto allora mi sono levata dal letto stupita da quell’evento inconsulto. Mi sono levata dal letto, e ho contato gli altri quadretti. Ho osservato i disegni di ciascuno, catalogando i colori e le forme, associandole a una cosa, a una materia, a un oggetto. Mi sono levata dal letto e ho perlustrato i detriti di vetro del loro compagno caduto fragorosamente nella quiete dei palmizi.
Ho notato che esso non custodiva un edificio e neppure un’anfora di terra cotta con timidi steli verdi. E ho capito la ragione del suo privilegio di quadretto appeso, lui solo, al crocevia di chi entra e chi esce.
Adagiato quasi ad angolo retto, spoglio ormai della sua armatura di vetro, giaceva un angelo rosa dalle ali d’oro, un angelo custode, un piccolo angelo caduto che ora riposa al mio fianco, sul letto.