
06 Nov Scusa, Tolstoj
“Perché non parli mai di Istanbul?”, mi chiede un amico.
Ha ragione. Non ne parlo mai. Scrivo spesso di Beirut, qualche volta
del Cairo e di New York, invece il Bosforo è come scomparso dal mio
radar. Click: cancellato.
“Che ti hanno fatto i turchi?” incalza il mio amico.
Sono tra le nuvole, da qualche parte nel cielo sopra Pechino. Stiamo
atterrando, ma non si vede niente, proprio niente, della terra che ci
aspetta. Lo smog avvolge tutto in una bolla grigia.
E’ un deja vu.
Mi sono già sentita, così. A Istanbul. Una sera un amico mi invitò
all’Opera, sulla costa asiatica; davano il Barbiere di Siviglia.
Prendemmo il vaporetto, a Karakoy; era tutto bianco e nero. La nebbia
era scesa all’improvviso e dal molo non si vedevano più neppure le
cupole delle moschee dall’altra parte del Corno d’Oro. Ci ritrovammo
nel mezzo del canale, dentro una foschia primordiale, come sperduti
nelle pieghe del tempo. Di qua c’era l’Europa, a naso; di là l’Asia.
Fu piacevole, per un po’, ritrovarsi in balia degli elementi,
abbandonati a stessi tra le onde.
E tuttavia all’approdo, tirai un sospiro di sollievo; era stato bello,
quel buio, interessante come può esserlo una visita a un bel cimitero.
Avete presente? Gli stati di transizione? Quando hai mollato una riva
ma della terra nuova neanche l’ombra?
Ora che ci penso, di Istanbul non parlo mai perché è stato l’amante
con cui ho fatto l’amore per dieci mesi nel tentativo, vano, di
dimenticare Beirut. E’ stato il flirt cui non perdoni niente, perché
non puoi perdonargli il fatto di non essere il tuo amore.
Vale per le città, per il lavoro, per le persone, ciò che vale per gli
amori: è la tua predisposizione a farne ciò che, per te, sono.
Istanbul, per dire, è bellissima, molto più bella di Beirut,
distrutta, ricostruita, posticcia, esagerata, schizofrenica,
irritante, sporca.
Istanbul è bellissima, di una bellezza da cartolina, con il bazar e i
saliscendi e le spezie e il mare e le navi; ma è una bellezza che non
mi parlava al cuore poiché il mio cuore era altrove.
Gli stati nascenti, gli amori, tra le persone e non solo, richiedono
una tabula rasa: devi aver smaltito la vita prima, fatto spazio,
sbattuto le corna contro il muro di tua costruzione, per poter uscire
dalla bolla grigia e dire: ottimo! E ora?
Ecco, amico mio: a Istanbul pulivo le ragnatele. Giocavo con l’idea
che si potesse vivere di tiepidi abbracci, fare a meno della passione.
Il mio migliore amico era un letterato che un giorno mi disse:
“L’amore è una perdita di tempo. Tolstoj andava a letto con la serva.
L’arte, solo quella conta”. Per un po’ gli diedi retta; intravidi la
riva, uscii dalla bolla, il giorno in cui conclusi che la bellezza è
un balsamo, l’arte una favola, ma l’amore, scusa Tolstoj, l’amore è
meglio.
Istanbul, 2010